La Basilica di Santa Maria di Collemaggio e la perdonanza celestiniana tra dimensione culturale e apertura profetica
Rubrica del Serra Club Italia
a cura di Paola Poli*
La celebrazione della Perdonanza ripropone ogni anno, nella monumentale Chiesa di S. Maria di Collemaggio, la memoria di un evento che verso la fine del XIII secolo ha proiettato la città dell’Aquila al centro della cristianità e della Chiesa universale, con l’incoronazione al soglio pontificio dell’eremita Pietro del Morrone, papa Celestino V, il 29 agosto 1294 e la concessione dell’indulgenza plenaria vivae vocis oraculo, di cui lasciò perenne testimonianza il documento noto come la bolla del Perdono, emanato dalla cancelleria pontificia, sempre all’Aquila, il 29 settembre dello stesso anno.
Il tesoro spirituale consegnatoci nella bolla del perdono, con quella formula di assoluzione «a culpa et pena» estesa a tutti coloro che, «vere penitentes et confessos», si fossero recati nella chiesa di Collemaggio tra i vespri della vigilia e quelli immediatamente successivi alla ricorrenza della decollazione di s. Giovanni Battista, rappresentò, nel suo più profondo significato, il segno profetico che al centro non ci fosse più «la pretesa ierocratica del potere delle spade…ma una Chiesa nel cui interno ci sono dei peccatori che possono essere perdonati»(1).
La Perdonanza ha da sempre rappresentato una tradizione devozionale di grande richiamo di pellegrini e le attestazioni dei miracoli di Celestino prodotte anche nei secoli successivi all’acquisizione di prove testimoniali ed atti confluiti nel processo di canonizzazione avviato nel 1306 conferirono efficacia e forza probante alla diffusione della sua santità, a dispetto di quella damnatio memoriae posta in atto dal suo successore, Bonifacio VIII, all’indomani della sua morte.
Il costante richiamo all’intercessione di Celestino per invocare con offerte o preghiere propiziatorie la protezione divina in tempi di carestia, di conflitti e di calamità naturali attraverso la venerazione delle sue reliquie custodite nella Basilica di Collemaggio, la cura nel preservarle e la sincerità del culto rivolto al Santo hanno conferito alla Perdonanza, nei secoli, l’espressione più alta del sentimento di devozione di una collettività che, nella commistione tra divino e umano, tra sacro e profano diventa riproposizione della memoria di un passato fortemente identitario.
L’elevazione agli onori degli altari di Celestino il 5 maggio del 1313 ed il successivo trasporto delle sacre spoglie da Ferentino all’Aquila rafforzarono certamente il sentimento di devozione popolare, tanto che, tra le celebrazioni dedicate al Santo, fu inserita proprio quella della traslazione dei suoi sacri resti in S. M. di Collemaggio, avvenuta in modo avventuroso, in una cassa di legno su di un mulo il 27 gennaio del 1327 e festeggiata con degno onore e partecipazione di fedeli il 14 febbraio.
In realtà, più che di una traslazione si era trattato di un trafugamento, ma sui dettagli alcuni cronisti dell’epoca avevano preferito tacere; ciò che contava era il valore collettivamente condiviso della presenza di quel Santo nel luogo che egli stesso aveva scelto per secondare il disegno della Provvidenza divina.
Tanti sono gli episodi che, secondo la tradizione, vedono coinvolto Celestino quale dispensatore di favori celesti, che si manifesta anche attraverso le modalità della fenomenologia mistica, come nel caso in cui la città, minacciata da Braccio Fortebraccio da Montone, divenne teatro di un conflitto le cui vaste proporzioni avrebbero potuto incidere fortemente sulle sorti dello Stato della Chiesa, del Regno di Napoli, del Ducato di Milano e della Toscana; il Santo intervenne mostrandosi protettivo verso gli Aquilani nel favorirli e sostenerli durante l’assedio, ma anche minaccioso e punitivo nei confronti del nemico che il 2 giugno del 1424 fu sconfitto (2).
Un altro fatto che dovette creare non poca apprensione tra i fedeli in cui si inserisce di nuovo Celestino, si verificò quando il cardinale Francesco Armellini, noto per la spregiudicata gestione economico-finanziaria della Sede Apostolica, in qualità di Camerlengo, si alleò con Ludovico Franchi, un tiranno asservito al potere spagnolo, con l’intento di trasformare in commenda il monastero di S. Maria di Collemaggio. Un simile disegno dovette risultare inaccettabile per i fedeli, per la famiglia dei Celestini e per lo stesso Santo che l’11 giugno del 1520, in occasione dei vespri, mentre il clero sfilava processionalmente in Collemaggio, si manifestò sul frontispitio, vestito di bianco, con cocolla nera, mitra papale e un privilegio nella mano destra, per poi spostarsi lateralmente nel luogo dal quale si mostravano le reliquie, e impartire la benedizione (3).
Il suggestivo racconto prosegue con altri particolari, quali Celestino che suona le campane e poi scompare avvolto in una nube bianca, il fragore di tuoni e acqua che scende copiosa; una scena apocalittica poi rappresentata in un gonfalone a lungo custodito nella Basilica e portato in processione il giorno della ricorrenza di tale evento.
Anche in questo caso, il Santo aveva mostrato chi fosse meritevole della benevolenza celeste. Inutile dire che non vi fu più alcuna pretesa sul monastero.
Le sacre spoglie di Celestino non furono solo oggetto di venerazione memoriale di un potere spirituale transitivo munifico di grazie, ma anche di violazioni sacrileghe, come in occasione dei gravi fatti che si verificarono durante la dominazione spagnola nel 1529, in conseguenza di una rivolta mossa dalla coalizione di alcuni castelli del contado per le angherie subite dai soldati spagnoli accampati non lontano dalla città. La repressione del principe Filiberto d’Orange fu violenta, impose pesantissime sanzioni ai cittadini e spogliò le chiese di tutti gli ori e gli argenti, violando anche le arche di S. Pietro Celestino e di S. Bernardino; a causa di tali fatti fu lanciato l’interdetto sulla città e passarono molti anni prima che la situazione si potesse ricomporre.
Nella metà del XVIII secolo le reliquie furono riposte in ostensori d’argento e si mostravano sia il 19 maggio, ricorrenza del transito del Santo, che il 28 agosto, quando si leggeva la bolla dell’indulgenza.
Con l’invasione dei Francesi nel dicembre del 1798 e la devastazione che ne seguì con atti sacrileghi anche dentro le chiese, non furono risparmiati neppure cassa e reliquiari del Santo e se a distanza di circa un decennio la soppressione degli ordini religiosi voluta da Giuseppe Napoleone il 13 febbraio 1807 decretò la fine della Congregazione Celestina, così non fu per la celebrazione della Perdonanza, che continuò a rinnovare quel patto di fede tra la città ed il suo protettore/intercessore Celestino.
Nei decenni successivi, la Perdonanza rimase sullo sfondo delle complesse dinamiche storiche conseguenti all’unità d’Italia, quali lo scollamento antimodernista della Chiesa dalle istanze sociali del suo tempo, ma pure il liberalismo dominato da un laicismo esasperato da parte dello Stato e, nel secolo successivo, la tragica esperienza di due guerre.
Seguì una imponente edizione scenografica nell’agosto del 1933, e a distanza di oltre un decennio, in tempo bellico, nel 1944, il vescovo di allora, poi cardinale Carlo Confalonieri, volle far ricomporre il corpo di Celestino al fine di esporlo alla pubblica venerazione, per edificazione dei pellegrini e dei visitatori.
Il Santo ormai, attraverso la sua presenza resa ancora più visibile dalla reliquia suprema, insigne del corpo, avrebbe continuato ad esercitare la protezione benevola di intercessore nella sfera vitale della sua comunità e della sua Chiesa.
Con rescritto della Sacra Penitenzieria Apostolica del 7 agosto 1962, in vista delle solenni celebrazioni propiziatorie per i lavori del Concilio Vaticano II fissate tra il 19 ed il 26 agosto, papa Giovanni XXIII concesse l’indulgenza plenaria “una volta al giorno” ai fedeli che avessero assistito devotamente alla Santa Messa e al discorso per il Concilio, e l’indulgenza plenaria “una volta al giorno” ai fedeli che fossero andati in pubblico pellegrinaggio a pregare presso il corpo di S. Pietro Celestino esposto non solo nella basilica di Collemaggio, ma anche in Cattedrale, nella precedente settimana di preghiere (4) .
Il 18 aprile 1988 il sacro corpo di Celestino fu ancora una volta trafugato, ma fu fortunatamente ritrovato a distanza di due giorni nel cimitero di una frazione del comune di Amatrice, restituito alla città dell’Aquila e di nuovo riposto nello splendido mausoleo realizzato da Girolamo da Vicenza nel 1517 su commissione della Corporazione della Lana.
L’eredità di Celestino è rimasta immutata nel tempo, in quel rito penitenziale che, nel tempio di Collemaggio, luogo dell’ “epifania della misericordia”, continua a svelare il vero volto della Chiesa. La breve sosta del pellegrino penitente sulla porta santa non rappresenta il compimento di un viaggio, bensì l’esperienza «dell’annuncio gioioso del perdono», della «forza che risuscita a vita nuova ed infonde coraggio per guardare al futuro con speranza»(5) per continuare il cammino e sentire, petramite di Celestino, con lo sguardo e la preghiera rivolti verso la teca che ne tutela le sacre spoglie, il tocco della trascendenza, dell’abbraccio dell’amore di Dio.
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*Il presente articolo propone una versione in sintesi dell’argomento trattato dall’autrice nel saggio pubblicato in Incorrupta monumenta Ecclesiam defendunt. Studi offerti a mons. Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, I/2. La Chiesa nella storia. Religione, cultura, costume, a cura di ANDREAS GOTTSMANN – PIERANTONIO PIATTI – ANDREAS E. REHBERG, Città del Vaticano 2018 (Collectanea Archivi Vaticani, 106), pp. 1313-1327.
1 LUIGI MEZZADRI, La Reformatio Ecclesiae da Celestino V al Concilio di Trento, in Storia, società e aspetti devozionali all’epoca di Celestino V, a cura di PAOLA POLI, Todi 2009, p. 7.
2 Cfr. in L’Aquila, Biblioteca Regionale “Salvatore Tommasi”, NICOLÒ LODI, ms. 91/2, f. 7r.
3 In ASV, Fondo Celestini II 29, f. 2r; anche Andrea AGNIFILI DEL CARDINALE, ms. 336/2, ff. 239r-239v; ANTON LUDOVICO ANTINORI, Annali degli Abruzzi, 24 voll., Bologna 1971 (ripr. facs. del ms. inedito conservato presso la Biblioteca regionale “Salvatori Tommasi” dell’Aquila), XVIII, pp. 226-231, LODI, ms. 91/2, f. 7v, vedi anche GIOVANNI PANSA, Cronaca di Vincenzo Basilii da Collebrincioni (an. 1476-1564), in Quattro cronache…, Sulmona 1902, p. 82.
4 Bollettino diocesano, XLI, nn. 8-9, agosto-settembre 1962, pp. 165-167.
5 Papa Francesco, Misericordiae vultus, bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia, 10, Roma, 11 aprile 2015.
*Paola Poli, dirigente dell’Archivio Arcidiocesano dell’Aquila, è stata Presidente del Serra International Italia nel biennio 2021-2023