Piana di Ur: cristiani, musulmani ed ebrei uniti in un unico Dio
Una delle tappe più importanti del viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq è stata indubbiamente quella nella piana di Ur di sabato 6 marzo 2021, caratterizzata dall’incontro interreligioso tra componenti delle tre religioni di fede monoteista. A fattore comune della scelta di questa storica città sumerica di Ur, oggi conosciuta come Tell al Muqayyar, che in arabo significa “collina della pace”, la nascita del Patriarca Abramo che unisce le origini e le tradizioni religiose di ebrei, cristiani e musulmani.
Ma cosa hanno di fatto in comune queste tre religioni.
Il primo punto è che sono monoteiste, “Monos Theos”, e cioè credenti in un solo Dio: i cristiani nel Dio, in tre persone, Padre, Figlio e lo Spirito Santo, ma uno nella natura, i musulmani nel Dio Allah e gli ebrei nel Dio Yahweh. Se poi si guarda alle prerogative di quest’unico Dio è facile notare che tutte e tre le religioni affermano che Dio è onnipotente, misericordioso, perdona, è amore, è creatore, onnipresenza, giustizia.
Il secondo punto è l’aspetto comune della concezione del luogo sacro: la Chiesa per i cristiani, la Moschea per i musulmani e la Sinagoga per gli ebrei, tutti luoghi di culto dove ci si raduna per la preghiera e per rendere grazie a Dio.
Il terzo punto è che le tre religioni si riconoscono nelle Sacre Scritture: i Vangeli per il cristianesimo, il Corano per i’islamismo, il Talmud per l’ebraismo, che molti principi morali sono comuni nelle Sacre Scritture e tutte credono nelle profezie, nella resurrezione dei morti e nella centralità della comunità religiosa.
Ma pur partendo da queste constatazioni, altre differiscono sostanzialmente tra loro. Una prima differenza è la figura di Gesù, figlio di Dio per i cristiani, un grande Maestro per gli ebrei, un sommo Profeta per i musulmani. Altra grande differenza è che con il cristianesimo il rapporto dell’uomo con Dio cambia radicalmente perché, grazie alla figura di Gesù trasmessa dai Vangeli, scritti dai quattro evangelisti e non dettati da Dio, l’uomo si avvicina a Dio e instaura con Lui un rapporto personale di fiducia in quanto Dio è Padre e Creatore insieme. Con l’Islam, invece, quanto scritto nel Corano è verità assoluta, perché Parola di Dio ricevuta da Maometto per il tramite dell’Arcangelo Gabriele e, come tale, riconosciuto non soltanto come ordinamento morale ma anche come ordinamento giuridico. Con l’ebraismo, infine, la principale diversità si sposta sulla figura del Messia che, a differenza di Gesù e di Maometto, deve ancora venire e che sarà inviato da Dio per redimere Israele e per introdurre una nuova era di pace fra tutti i popoli della terra.
Pur con queste differenze, il cristianesimo, l’islamismo e l’ebraismo sono sostanzialmente religioni di pace in quanto non comportano forti contraddizioni, sia perché il cristianesimo abbraccia lo stesso Dio di Israele, sia perché l’islamismo e l’ebraismo non disconoscono la figura di Gesù. Il fatto, poi, che il Profeta Maometto faccia discendere i suoi precetti dall’Arcangelo Gabriele rende, ancora di più, l’islamismo una religione non antitetica, sotto l’aspetto morale, alle altre due. Tutti argomenti che dovrebbero favorire l’apertura di un dialogo interreligioso, come visione ermeneutica per un orientamento interconfessionale, teso a superare le contraddizioni. Anche se sono tre culti di amore e di pace, le contrapposizioni, infatti, hanno spesso la prevalenza sull’aspetto religioso e diventano pretesto per trasformarsi, a volte in modo esasperato, in conflitti e fatti di sangue, fino ad assurgere a lotte politiche e di civiltà, come giustificazione per i più fanatici. Contrapposizione che si è più volte manifestata proprio in Iraq, come atti di fanatismo assoluto, falso volto dell’Islam, e di un’ideologia profondamente sbagliata dell’interpretazione del Corano.
Nel suo viaggio pastorale in Iraq, Papa Francesco ha visitato tre località che hanno lasciato un ricordo di sangue e di morte in Iraq: Bagdad, Mosul e Quaraquosh.
31 ottobre 2010: uomini armati jihadisti suicidi, appartenenti a un gruppo chiamato “Stato islamico dell’Iraq”, gruppo militante di al-Qaeda in Iraq, fecero irruzione nella Chiesa di Sayidat al Nejat (Nostra Signora della Salvezza) a Bagdad, gremita di fedeli in ascolto della funzione domenicale. Una Chiesa particolare, progettata dall’architetto polacco Kafka, perché rappresenta una nave che sostiene i credenti come la barca che portava Gesù e i suoi discepoli nella tempesta. Un vero e proprio massacro in cui trovarono la morte 48 persone, tra le quali due sacerdoti e otto bambini, oltre a 70 feriti.
10 giugno 2014: miliziani appartenenti allo Stato islamico dell’Isis, organizzazione terroristica legata ad al Qaeda, occupano la città di Mosul, dove il terrore durerà per oltre tre anni, e ne fanno la loro roccaforte. Comincia la sistematica devastazione del suo patrimonio culturale, cui si aggiunge la distruzione dei luoghi sacri, tra cui le Chiese siro-cattolica, armeno-ortodossa, siro-ortodossa e caldea nella Piazza delle Chiese, della Moschea di Giona, uno dei monumenti più importanti della città e luogo di pellegrinaggio di cristiani e musulmani, la profanazione delle tombe dei profeti. Sotto la forza distruttrice del califfato cadono anche luoghi venerati dai sunniti. In fuga, inoltre, oltre mezzo milione di persone, di cui 120.000 cristiani.
6 agosto 2014: Qaraqosh, la città a più alta maggioranza cristiana dell’Iraq, è conquistata dall’Isis. Come a Mosul comincia la devastazione dei luoghi sacri con migliaia di persone costrette a fuggire per ripararsi nel vicino Kurdistan. Oltre due anni di occupazione e di persecuzioni e una furia iconoclasta che hanno portato alla distruzione di Chiese, quali quella siro-ortodossa dedicata a Santa Shemoni a Bartella e la Chiesa cattolica di San Giorgio completamente incendiata. Distrutti, inoltre, monasteri, divelte croci, profanati cimiteri. Alla riconquista della città, di Qaraqosh si può dire che non era rimasto nulla di quello che era considerata come il simbolo della cristianità irachena, punto di riferimento religioso per eccellenza.
Questi luoghi sacri dell’Iraq che Papa Francesco, pur nel ricordo delle devastazioni e delle vittime della guerra, ha visitato come pellegrino di pace, sono un’esortazione e un incoraggiamento affinché cristiani, ebrei e islamici, uniti in un unico Dio, siano anche uniti nella lotta per vincere il male e riaffermare che” la fraternità è più forte del fratricidio, la speranza più forte della morte, la pace più forte della guerra”. Nel segno della collaborazione tra religioni è, quindi, importante il dialogo perché il dialogo è ponte fra le fedi religiose, è pilastro nella costruzione della pace, è risveglio della fratellanza umana che porta a dare la vita per l’amore e l’amicizia.
Sono state tante le volte che Papa Francesco si è espresso a favore della pace e dell’armonia tra le diverse religioni, e non soltanto quelle monoteiste, invitando gli osservanti al confronto e al dialogo. Un Papa che abbiamo visto accedere scalzo e a capo chino nella Moschea Blu di Istanbul, che non ha esitato a entrare nel tempio buddista di Mahabodhi a Colombo nello Sri Lanka, a recarsi nella Sinagoga di Roma, ricorrendo sempre al dialogo con tutti, musulmani, ebrei, induisti, scintoisti, come arma per colloquiare senza barriere, preconcetti e riserve ma per alzare forte il grido della pace su tutta la terra.
L’incontro interreligioso nella piana di Ur n Iraq ha, tuttavia, un significato particolare perché, come riportato nell’incipit del discorso del Santo Padre Francesco, “luogo benedetto che ci riporta alle origini, alla nascita delle nostre religioni”.
Sono due i punti fondamentali della riflessione di Papa Francesco che, onorando il padre Abramo, ha rimarcato nel suo discorso nell’incontro interreligioso nella piana di Ur: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra.
Guardiamo il cielo, perché contemplando il cielo si possono ammirare le stelle che, brillando tutte insieme, illuminano le notti più scure. Di qui l’invito allo stesso insieme, all’unità tra gli uomini. Unità intesa come fratello accanto al fratello per alzare insieme gli occhi al cielo, per adorare insieme Dio, per amare insieme il prossimo. Non permettere che la luce del cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio, non permettere che le credenze religiose siano abusate per generare guerre e terrorismo, come avvenuto nel nord dell’Iraq con la morte di tanti innocenti, la distruzione del patrimonio religioso fatto di chiese, monasteri e luoghi di culto. Un incontro interreligioso che deve essere segno di benedizione e di speranza per l’Iraq, per il Medio Oriente e per il mondo intero.
Camminiamo sulla terra, perché così come Abramo fu incoraggiato da Dio ad allontanarsi da Ur per un cammino in uscita che comportava il sacrificio di lasciare la sua casa e la sua parentela, anche gli uomini siano chiamati a lasciare quei legami che impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio per seguire il cammino indicato dal cielo che è quello della via della pace. Laddove pace significa condivisione e accoglienza, a cominciare dai più deboli. Una pace che non ha né vincitori né vinti, ma che unisce tutti come fratelli e sorelle perché chi crede in Dio non ha nemici da combattere.
Al termine dell’incontro interreligioso, la lettura di Papa Francesco di una preghiera di ringraziamento a Dio, come appartenenti dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’Islam, per averci donato Abramo come padre comune nella fede perché benedicendo il padre Abramo ha fatto di lui una benedizione per tutti i popoli, e l’invocazione a concederci una fede forte e operosa nel bene, ad aprire i nostri cuori al perdono, ad accogliere nella sua dimora di pace le vittime delle guerre, a sostenere le nostre mani nella ricostruzione dell’Iraq.
“Il Papa sconfigge i potenti della terra” titola il Manifesto, “Il Papa e l’Ayatollah fanno la storia” la rivista Internazionale, “Tempo di ricostruire” il Financial Times, “La forza della debolezza” il quotidiano cattolico francese La Croix, “Monsul: un’ispirazione per un futuro fraterno” il quotidiano arabo Arab News. Un consenso unanime, indiscutibile, inimmaginabile, frutto della forza di un Papa umile che sa arrivare al cuore degli uomini, capace di conciliare le differenze, consapevole sull’identità dei popoli e che sa farsi carico, con cuore generoso, del desiderio di vita dell’intera umanità.
Cosimo Lasorsa