Il mistero della Sindone al Serra club di Taranto
Davanti alla Sindone l’esperienza del Mistero è sempre nuova e irripetibile.
Trovarsi di fronte alla Sacra Sindone è un’emozione che non si dimentica. In quel telo bianco, dove ciò che vedi non è quello che cerchi ma solo macchie brune di bruciature antiche, si nasconde il mistero più grande che l’uomo abbia mai compreso: la Resurrezione. A stento, aguzzando gli occhi, man mano sulla tela scorgi le macchie del sangue, più vicine e copiose sul cranio, più rade altrove.
Eppure chi dal 1353 onorò quel lino come un sacramentale, sentiva nel profondo la presenza del Mistero. Non c’erano allora i sofisticati strumenti moderni che con l’esame del carbonio 14 hanno individuato l’epoca del lino intorno al XII secolo, non c’erano i microscopi, né gli esami del sangue che hanno identificato nel gruppo AB quello del corpo che ha lasciato quelle stille. Pure la Sindone sin da subito fu oggetto di pietà e di contraddizione.
La sua storia, sia quella documentata che parte dal 1353 sia quella supposta, passa da vicende alterne, come scomuniche, incendi e furti, fino a farla giungere dove è oggi conservata, al Duomo di Torino. Nella sua ultima ostensione, avvenuta nel 2015, due milioni di fedeli si sono radunati per pregare sotto il sudario simbolo del calvario di Gesù.
L’immagine impressa sul telo, venuta pienamente alla luce attraverso la fotografia scattata da Secondo Pia nel 1898, è davvero l’Uomo dei Dolori o è un falso? E’ un enigma scientifico o un documento storico da indagare fino in fondo?
Di questa storia avvincente come un romanzo ci ha parlato con accenti appassionati il dott. Girolamo Spagnoletti, oncologo e radioterapista degli Ospedali Riuniti di Foggia, specializzato in studi sindonici, sabato 22 aprile in un incontro organizzato insieme alla presidente Cristina Scapati, dal diacono Mino Gentile socio carissimo del nostro Serra Club. L’introduzione è stata affidata a don Giuseppe Ruppi che ha ben spiegato come fede e ragione sono due aspetti imprescindibili della storia della Sindone.
Il dott. Spagnoletti, con rigore scientifico ha indicato i molteplici interrogativi posti sulla Sindone, ne ha individuato gli elementi più evidenti e le contraddizioni che ancora si pongono ad una effettiva valutazione di questo incredibile reperto. Un lenzuolo lungo 4,41 metri e largo 1,12, della stregua di quelli che venivano utilizzati dai giudei per la sepoltura negli anni in cui visse il Cristo. Segno di pietà popolare per secoli scopre parte del suo mistero attraverso il negativo che l’avvocato Secondo Pia fotografò nel 1898. La Sindone si trovava proprio a Torino, in quanto proprietà del re. Nessuno sapeva allora che sul lenzuolo vi era un’immagine invertita, poiché questa caratteristica non era percepibile a occhio nudo. Era un volto tumefatto con i segni di colatura di sangue provocate da spine profonde. Era il volto del Cristo?
Tante le diverse ipotesi per spiegare la formazione dell’immagine impressa sulla Sindone di Torino. Alcune presumono meccanismi naturali (o anche soprannaturali) che avrebbero impresso l’immagine sulla Sindone mentre essa era distesa sopra e sotto un cadavere; altre, procedimenti artificiali con i quali un artista avrebbe creato l’immagine. Nessuna ipotesi è decisiva. E allora?
Una scommessa per i tempi moderni, per un tempo che crede solo se vede e tocca con metodi scientifici. Si presenta oggi come duemila anni fa l’incredulità di Tommaso. Allora lasciamoci guidare dal cuore. Inginocchiati davanti a quel lenzuolo l’immagine del Cristo sofferente si illumina della luce della Resurrezione. Al silenzio del Sabato Santo segue l’esplosione della Vita, quella esplosione che potrebbe aver lasciato quei segni straordinari.
Giovanni Paolo II che nel 1998 visitò la Sindone a Torino chiamò la Sindone «un’icona della sofferenza dell’innocente in ogni era». Ma è anche l’immagine di un corpo che si dissolve nell’eternità senza subire la decomposizione della morte.
Davanti alla Sindone l’esperienza del Mistero è sempre nuova e irripetibile.
Maria Silvestrini