Ad Assisi la terza enciclica di Papa Francesco

“Fratelli tutti”. E’ questo il titolo dell’ultima enciclica di Papa Francesco, siglata il 3 ottobre scorso ad Assisi, dopo la visita e la Santa Messa celebrata nella Basilica inferiore presso la tomba del Santo, in coincidenza dell’anniversario della sua morte terrena avvenuta il 3 ottobre 1226. Una enciclica che ha come sottotitolo “Sulla fraternità e l’amicizia sociale”, che trae spunto dalle “Ammonizioni” di San Francesco: “Guardiamo fratelli tutti il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce”. Una cerimonia che si è svolta in forma strettamente privata, molto sobria e senza la partecipazione dei fedeli, a causa del perdurare dell’epidemia che ci costringe ancora all’isolamento. E’ la prima volta, nella storia della Chiesa, che una enciclica è emanata fuori dal Vaticano, nella città del Poverello d’Assisi, da cui il Papa ha assunto il nome per suo Pontificato.

Dopo la prima enciclica “Lumen Fidei” del 2013 in cui la fede cristiana è presentata come una luce proveniente dalla parola di Dio, e la seconda “Laudato si” del 2015, sulla cura della casa comune con l’invito a una conversione ecologica per la salvaguardia dell’ambiente e l’impegno della società per la giustizia verso i poveri, questa terza enciclica assume un significato particolare: quello di una fratellanza cosmica che deve unirci ancora di più in questo doloroso e drammatico momento di epidemia mondiale. Un vero e proprio accorato messaggio, oltre che una umana riflessione, affinché questi sentimenti umani di solidarietà e partecipazione attiva si trasformino in una sfida all’epidemia stessa al fine di evitare ingiustizie, disuguaglianze, emarginazioni. Una epidemia che ha aggravato a tal punto i problemi sociali, da trasformarsi in una vera e propria economia malata. Non con il virus dell’egoismo, quindi, perché l’egoismo indifferente è il peggiore dei virus e porta alle crisi umane e sociali, ma con il virus dell’amore, come risposta cristiana per condividere tutti insieme i valori della fraternità e dell’amicizia sociale per un mondo migliore e più solidale.

Un’enciclica che potremmo definire sociale ed economica, quindi, con la quale Papa Francesco, si è rivolto al mondo intero per auspicare cambiamenti innovativi e radicali, al fine di salvaguardare il creato, di farsi carico l’uno dell’altro delle esigenze dei popoli più deboli e più bisognosi oltre che per dimostrare di essere veri cristiani nell’abbraccio di quel grande sentimento che è la fratellanza umana.

Libertà, uguaglianza e fraternità sono i capisaldi che il Papa invita a rispettare in questo particolare momento di pandemia mondiale, ma sono molti e altrettanto importanti i temi oggetto di riflessione dell’enciclica: a iniziare dalla politica e  l’importanza del lavoro, ai diritti del popolo e alla dignità umana, all’amore universale, al dialogo e all’amicizia sociale, al ruolo della Chiesa, e tanti altri ancora.

La libertà che deve essere orientata soprattutto all’amore e, quindi, alla fraternità che deve essere consapevolmente coltivata perché senza la fraternità la libertà si restringe. Così come l’uguaglianza, in quanto tutti gli esseri umani sono uguali, quale risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. E’ l’amore universale, infatti, che promuove le persone, perché ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente.

Solidarietà, quindi, perché la solidarietà ha un valore inteso come virtù morale e atteggiamento sociale che si esprime concretamente nel servizio, per cui  servire significa avere cura di coloro che sono fragili: un servizio che guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità.

Per rendere possibile lo sviluppo di una di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da nazioni che vivono l’amicizia sociale, è necessaria la politica migliore, posta al servizio del vero bene comune. La politica migliore che non è quella che fa leva sull’individualismo e che cela gli interessi dei ricchi perché ignora la legittimità della nozione di popolo e porta a eliminare la democrazia. La politica di cui si sente bisogno, invece, è quella che nasce dalla carità, sociale e politica, con amore preferenziale per i poveri. La politica di cui si ha bisogno è, pertanto, quella che percepisce una visione ampia, che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi.

Il dialogo sociale è, quindi, importante perché consente di avviarsi a una nuova cultura: un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze popolari. Ecco perché è importante sapere avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi. Per aiutarsi a vicenda c’è bisogno di dialogare: senza dialogo non si consegue il bene comune ma solo gli interessi personali. Il dialogo perseverante e coraggioso aiuta, invece, a vivere meglio nella ricerca congiunta di un bene comune.

Politica e dialogo sociale non disgiunti dal grande tema del lavoro, inteso come bene necessario per assicurare a tutti la possibilità di fare germogliare i semi che Dio ha posto in ciascun di noi, le sue capacità, le sue iniziative, le sue forze. Aiutare i poveri va bene, quindi, ma la soluzione deve essere solo provvisoria perché il grande obiettivo deve essere quello di permettere loro una vita degna attraverso il lavoro. Non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro. In una società realmente progredita, il lavoro è, pertanto, una dimensione irrinunciabile della vita sociale perché è il mezzo per la crescita personale, per esprimere sé stessi, per vivere come popolo.

Tutto questo in un mondo dove regni la pace, lontano da guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali e religiosi, perché ogni genere di conflitto è contro la dignità e lo stesso progetto di fratellanza inscritto nella vocazione della famiglia umana.

Un riconoscimento, infine, a tutte le religioni che offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Ad iniziare dalla Chiesa che, pur nel rispetto dell’autonomia politica, non può e non deve restare ai margini nella costruzione di un mondo migliore perché la Chiesa ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nella sua attività di assistenza o di educazione, ma si adopera per la promozione dell’uomo e della fraternità universale. Come cristiani non possiamo nascondere che se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna.  Per noi cristiani questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta e resta sempre nel Vangelo di Gesù Cristo.

 

Cosimo Lasorsa