Club Genova Nervi. Il percorso della fede: dalla conoscenza alla relazione (con Dio)
Il percorso della fede: dalla conoscenza alla relazione (con Dio)
Il biblista don Davide Bernini ha illustrato, al Serra di Nervi, il percorso della fede, che va dalle conoscenze teologiche alla relazione con Dio
Dopo la parentesi del lockdown, il Serra di Nervi ha concluso l’anno con una conversazione di don Davide Bernini, Direttore della locale Sezione della Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale e biblista molto apprezzato, con una lunga esperienza pastorale. Interpretando i sentimenti dei presenti, don Davide si è rallegrato per questo incontro in presenza, segno di speranza e di condivisione, di ritorno a una nuova normalità.
Il relatore, dopo aver premesso che la fede non si esaurisce nelle pur necessarie conoscenze teologiche, ma si concretizza in una relazione che da’ stabilità, ha approfondito il significato delle parole fede e credere. Possiamo sintetizzare il verbo ebraico che indica la dimensione del credere con la parola amen (in italiano così sia, ma la traduzione è riduttiva, sembra indicare qualcosa di augurale). Il verbo originale, invece, indica tre aspetti, definibili come solidità, stabilità e fedeltà.
Nel quarto vangelo, l’espressione amen, risuona in verità, in verità vi dico (come dire: è così, è così). espressione più aderente all’incipit dei discorsi di Gesù. Nella tradizione ebraica, infatti, la Verità di Dio va intesa in senso esistenziale, più che logico, ed è innanzitutto fedeltà (di fronte al peccato, al vitello d’oro, all’infedeltà di Israele). Adonai è un Dio vero perché è fedele.
Chi ascolta e vive la Parola non vacilla e costruisce la sua vita sulla roccia, come “un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24). Un concetto presente pure nei Salmi: “Hai liberato la mia vita dalla morte, i miei piedi dalla caduta, per camminare davanti a Dio nella luce dei viventi” (Sal 56,14). E, quindi, “benedetto il Signore, mia roccia” (Sal 144, 1).
La fede, ha aggiunto don Davide, è molto di più del credere in Dio. Secondo l’apostolo Giacomo, che Dio esista lo sa pure il diavolo, ma questa non è fede. La vera fede è credere che Dio esiste ed esiste per me: Il Dio di Abramo, di Giacobbe (Dio dei vivi, non dei morti) si declina con dei nomi.
Circa la caratteristica della fedeltà, c’è quella storica (di Adonai verso Israele) e, soprattutto, quella verso l’uomo, nel quale suscita il desiderio di reciprocità. La proposta del Signore è adeguata ai bisogni dell’uomo, non chiede la mera adesione alle leggi, per timore della Sua potenza. ma ci stimola all’incontro con Gesù, che ci rivela il mistero del Padre, rendendo visibile il Dio invisibile.
Giovanni non usa la parola fede ma il verbo credere (che rimarca un’azione, rispetto alla staticità del sostantivo) ed è accompagnato dalla preposizione eis (indica la direzione verso una persona). In effetti, se credo e mi affido, c’è un cammino graduale verso il Padre. Ai discepoli, Gesù chiede di fondare la loro fede sulle sue parole, opere e segni. Nel quarto vangelo vengono riportati sette segni (numero simbolico della pienezza), che Gesù ha compiuto allo scopo di suscitare la fede.
Durante la rianimazione di Lazzaro, le sorelle mostrano di credere nella Risurrezione: “Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”. Gli rispose Marta “So che risusciterà nell’ultimo giorno” (Gv 11,23-24). Ma con la loro richiesta esprimono un desiderio, hic et nunc, di verità, di senso. Il rinvio alla dimensione escatologica non basta: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà” (Gv, 11 21-11).
Con il miracolo della moltiplicazione dei pani, Gesù non sfama solo le persone. Quel segno rinvia a Cristo, vero pane dell’uomo. E durante il banchetto delle nozze di Cana, la trasformazione dell’acqua in vino, ha un significato più profondo, che rinvia alla trasformazione dell’alleanza.
Da parte sua, la samaritana, ascoltando Gesù inizia un percorso di crescita: si rende conto che quel giudeo conosce la sua vita, ed esclama: “Signore, vedo che tu sei un profeta” (Gv 4, 19). Poi, colpita dalla profondità di parole mai udite prima, intuisce l’identità di Gesù: “lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (Gv 4, 28-29). Ma il segno per eccellenza è rappresentato dalla morte e Risurrezione di Gesù, vertice dell’amore di Dio verso l’uomo (“li amò sino alla fine” Gv 13,1).
Nella guarigione del cieco di Betsaida, sono necessari due interventi: dapprima il cieco annaspa confusamente: “vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”( Mc 8, 24); Gesù deve imporgli nuovamente le mani sugli occhi ed “egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa” (Mc 8, 25). Anche qui, dunque, il percorso verso la Luce piena è graduale, e viene rimarcato ad uso dei farisei che sono convinti di vedere, ma in realtà sono ciechi.
Pure san Tommaso d’Aquino evidenzia questa dimensione di luce: la fede ci insegna a vedere con gli occhi di Dio, con i quali possiamo vedere noi stessi e la realtà che ci circonda.
Nel libro dell’ Apocalisse viene delineato lo scenario finale, quando il mistero (il progetto di Dio) sarà compiuto e Dio, secondo l’espressione paolina, sarà tutto in tutti. C’è l’immagine della fidanzata dell’Agnello, che scende dal Cielo e si sovrappone con la città di Gerusalemme, (“E vidi anche la città santa (…) scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa” Ap 21,2). L’immagine dell’unione coniugale diventa modello ideale della dimensione comunitaria pienamente realizzata.
Don Bernini si è poi soffermato sul verbo greco che traduciamo con conoscere: nel Vangelo ha un significato più ampio di quello intellettualistico, è un eufemismo che indica una relazione coniugale, che si collega al tema del Mistero: quando l’angelo annuncia il concepimento di Gesù, Maria risponde: “Come è possibile? Non conosco uomo”. (Lc 1, 34). Anche nell’AT troviamo lo stesso utilizzo: “Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino…” (Gen 4,1).
Nella prospettiva delle due dimensioni (conoscitiva e relazionale), sant’Agostino evidenzia la connessione tra il credere e l’amare. All’inizio l’approccio è conoscitivo, ma più amo una persona, più voglio conoscerla! E più la conosco, più la amo! Nella sintesi agostiniana, il buon deposito della fede da custodire (2Tm 1, 14), non è un elenco asettico di Verità, ma la scoperta di una Relazione.
In sintesi, la ricerca teologica elabora le formule corrette della fede, la quale però è determinata dall’Amore: più amo Dio e più voglio conoscerlo; e più lo conosco, più lo amo. E’ una dimensione soggettiva, che può essere depauperata dalle conoscenze, se non amo e se non mi affido. L’ideale è unire i due percorsi, rifuggendo dagli estremismi del professionismo teologico e del semplicismo.
La fede, ha concluso il relatore, ci fa entrare nella dimensione del mostrare, non del dimostrare. In fondo, le tentazioni (cui siamo esposti tutti, e che Satana ebbe l’ardire di proporre pure a Gesù) sono il tentativo di far poggiare la fede non sulla roccia, ma su qualcos’altro, in pratica sulla sabbia.
Sergio Borrelli