Un tempo opportuno per ritrovare se stessi e gli altri

Un tempo opportuno per ritrovare se stessi e gli altri

di Domenico Zafarana

Come un prete ha vissuto queste lunghissime settimane di pandemia? Come ha trascorso le giornate un prete – o il parroco di uno dei nostri tanti paesi – se non ha potuto nemmeno celebrare l’Eucaristia con la propria comunità cristiana o amministrare i Sacramenti come ha sempre fatto lungo l’arco del suo ministero? L’Italia – in questi ultimi mesi – si è fermata! Ha cambiato passo! E forse – è l’auspicio e l’augurio – ha riscoperto se stessa e le cose più care.

A Montepulciano, nello specifico, l’occasione è stata «ghiotta» per mettere in piedi l’emporio alimentare della Caritas diocesana, grazie al valido aiuto del neo direttore della stessa, che ha preso a cuore le numerose famiglie – oltre centocinquanta – che ad essa si sono rivolte a causa della mancanza di lavoro, del mancato ingresso degli stipendi. Un’occasione che ha fatto riscoprire le piccole cose, il gusto di donare quanto abbiamo ricevuto per poterlo condividere con gli altri. E’ proprio grazie alla Caritas diocesana che la pagina evangelica della pecora smarrita ha potuto prendere forma concreta, vita vissuta. Eravamo infatti – il sottoscritto e Giulia Faralli, volontaria intraprendente e «spigliata», nonché coordinatrice dei pacchi alimentari – nella zona di Chianciano Terme quando dalla sede ci è arrivata una chiamata: «Dovete andare subito a San Casciano dei Bagni». La carità non può attendere, non deve fare domande. Noi dovevamo lasciare le circa quaranta famiglie che stavamo servendo per raggiungere uno dei paesi più lontani dalla zona «ordinaria»; si direbbe un centro «fuori mano». Dovevamo lasciare le novantanove pecore per andare in cerca di quella pecora smarrita – avevamo un indirizzo sconosciuto da impostare sul navigatore dell’auto e un numero di telefono al quale non rispondeva nessuno – con la consapevolezza che, forse, avremmo fatto il viaggio a vuoto, senza la consegna del pacco richiesto. Lì, in quel preciso momento, ho compreso la pagina che più volte avevo io stesso letto, che più volte mi era stata proposta da raffinati biblisti. Ho interiorizzato, facendola mia, la parabola del pastore bello e buono che lascia la certezza delle novantanove pecore per andare in cerca, tra rovi e spine, dell’unica smarrita (magari anche «volontariamente» smarrita). Tutto questo è stato possibile grazie all’esperienza caritativa che si è costruita a Montepulciano in questi mesi, permettendomi di affermare «grazie» al Coronavirus.

Ma un prete – e nello specifico il prete di Montepulciano – non ha fatto soltanto questo. Ha anche pregato! Cosa che dovrebbe apparire scontata, normale; che dovrebbe far parte della sua missione giornaliera. Ma a volte – la semplice pratica della preghiera – non è affatto scontata, soprattutto quando si hanno più chiese (oltre dieci) e diverse «relazioni» da curare su più fronti. Una delle tante «buone pratiche» riscoperte in questo periodo è stata proprio l’arte della preghiera, del ricollocare Dio al centro della giornata presbiterale, mettendo tutto il resto come conseguenza della relazione e del rapporto con l’Assoluto. Un’attenzione maggiore – accanto alla preghiera – è scaturita in queste settimane anche per la Santa Scrittura. Ma, fatto che ha ancor più illuminato le giornate, la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia (rigorosamente a porte chiuse) alla presenza di due o tre persone al massimo: abbiamo davvero – e parlo al plurale – compreso la ricchezza del Sacramento che per ogni credente (non soltanto prete) è culmine e fonte della missione evangelizzatrice della Chiesa. Ancor più in questi giorni di ripartenza con le celebrazioni alla presenza del popolo abbiamo compreso quanto valore – anche sociale – ci sia nella celebrazione comunitaria dell’Eucaristia.

Tanto è stato riscoperto in queste lunghe, intense settimane dove l’io era costantemente a colloquio con Dio. Tanto in termini di relazioni con gli amici, i conoscenti, i parrocchiani; e questo grazie ai moderni mezzi della comunicazione sociale, per i quali non smetteremo mai di rendere grazie. Non sono mancate – e continueranno almeno per queste prossime settimane – le video conferenze o gli incontri con i gruppi di catechesi, col coro parrocchiale, con i catechisti.

E’ cambiata la vita di un sacerdote nel tempo del Covid-19? Certamente si, come è cambiata tutta la Terra, ogni casa. Forse in meglio, avendo valorizzato l’essenziale e avendo compreso, in ultimo, il grande dono del tempo che non è semplice susseguirsi di secondi e minuti ma occasione propizia per valorizzare il dono più grande che il Risorto abbia potuto concederci, la vita in lui.